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Porto Tolle e il pasticcio dei miliardi scomparsi

Porto Tolle. Per chi non la conoscesse, è una cellula dormiente del piano industriale Enel.
Ex centrale a olio combustibile, ex futura centrale a gas, riconvertita sulla carta a carbone prima che i cittadini della vasta e diffusa provincia potessero abituarsi all’idea.
Condannata per gettito pericoloso di cose, su di essa pende un procedimento per l’avvelenamento e l’inquinamento che avrebbe  – secondo le perizie della procura di Rovigo – comportato conseguenze per la salute di bambini residenti fino a 14 chilometri dalla centrale.
Che per ora è ferma, ma non chiusa.
Ebbene, secondo una nota firmata da Greenpeace, Legambiente e Wwf, dal piano industriale dell’Enel 2012-2016 sono “scomparsi” i 2,5 miliardi di euro destinati alla conversione a carbone della centrale termoelettrica di Porto Tolle.   «Il progetto più pericoloso e dannoso per il clima, nel nostro Paese – rilevano le tre associazioni ambientaliste – è diventato un progetto fantasma. Ma i fantasmi non sono mai presenze rassicuranti».

Ma quella che potrebbe sembrare una buona notizia, è solo un grande pasticcio.

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L’Ambiente rimarrà senza regole? Appello a Monti

Si scrive semplificazione, si legge deregulation. Bonifiche dei siti contaminati, gestione dei rifiuti da imballaggio, dragaggio dei porti: proprio gli interventi in materia ambientale che smuovono decine di milioni di euro, e spesso sono soldi sporchi, di dubbia provenienza, che nascondono interessi mafiosi, ecco, proprio su questo, interviene il governo cercando semplificazioni. Ma potrebbe essere molto pericoloso.

E così, le principali associazioni ambientaliste (Legambiente e Wwf in testa9 hanno lanciato un appello a Monti: rafforzate i controlli, mentre invece l’articolo 14 del decreto semplificazioni prevederebbe addirittura la soppressione dei controlli per le aziende certificate.

Cosa? Ha idea, il governo Monti, cosa potrebbe accadere? E il nostro ministro dell’Ambiente corrado Clini costa fa?

In una lettera comune, Legambiente e Wwf auspicano «un confronto ampio sul modello di sviluppo che il nostro Paese intende assicurare alle future generazioni», che sia «imprescindibile dalla sostenibilità ambientale e si ispiri al principio di precauzione riferito alla direttiva comunitaria». Un obiettivo, precisano gli ambientalisti, «da conseguire grazie all’inserimento dei delitti ambientali nel codice penale, più volte richiesto anche dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti».

Intanto, il 12 marzo la Camera esaminerà il decreto legge in materia ambientale. Saremo lì a studiarcelo anche noi.

 

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