Amsterdam, pomeriggio di pioggia fina e di freddo. Umidità fin sotto la pelle.
Consulto compulsivamente il telefono, aspetto un messaggio. Poi mi arriva la mail dal giornale. Il pezzo che avevo scritto è da rifare: la Corte Costituzionale non ha avuto bisogno della notte per riflettere, e ha salvato la legge Clini emanata per consentire all’Ilva di continuare a produrre nonostante il fermo voluto, considerato necessario dai magistrati per il diritto non comprimibile alla salute e alla vita dei tarantini.
Niente da fare, l’industria ha vinto. Per ora.
E ha vinto quella politica che di fatto nomina anche i giudici della Corte e che ha detto sì al decreto diventato legge.
Ce lo aspettavamo tutti, ma sono crollata lo stesso.
Ho pianto come una bambina, e la cameriera del pub mi ha offerto una guinness. Ho provato a raccontarle cosa stava succedendo ma lei non poteva crederci.
A me ha dato fastidio quella sua incrollabile fiducia nelle istituzioni.
Le ho spiegato che in Italia è diverso, che i cittadini devono lottare per vent’anni e più per chiedere semplicemente il diritto a una vita sana.
Che ora bisogna studiare nuove strategie.
La cameriera mi ha chiesto: perchè non fuggite via?
No. Sono già fuggita una volta. Ora resto accanto ai miei amici e fratelli, e unisco i miei strumenti ai loro.
E come dicono i guerrieri spartani, alla fine vinceremo.
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Vista da lontano, l’Italia è ancora più assurda
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E poi leggo un giornale, e mi viene la nausea
Inizio subito autodenunciandomi. Non sono riuscita a mantenere il dovuto distacco. Nessuna alterità. Forse non ho nemmeno provato. Forse quando è partito il coro “Taranto li-be-ra” e io ho urlato a squarciagola e battuto le mani non è stata nemmeno una resa, è stata la necessità di mollare l’ipocrita atteggiamento da cronista e mostrare quello che il mio cuore chiedeva.
Partecipare.
Quindi racconterò della gente senza filtri opachi.
E comincio da Fabio Matacchiera e da Alessandro Marescotti. Giganti, nella loro dedizione, nella loro costanza, nella loro energia e nella loro lucidità. Il Fondo Antidiossina e Peacelink si complementano e si amalgamano alla perfezione. Sono bellissimi, con i loro occhi lucidi. E le lacrime, che quando ci vuole ci vuole.
Luciano Manna che sembrava un attaccapanni di macchine fotografiche. Mille input, mille server da gestire, riprese, dirette streaming, e sempre quella placida tranquillità di chi si è appena alzato da tavola. Ma come fa?
Ma non è stata una manifestazione di attaccanti, quella di stamattina. No.
C’era tutto un centrocampo allenato, efficace ed efficiente.
I medici. Che belli i medici quando ci mettono la faccia. “Basta, ogni giorno si ammalano bambini, bisogna fare presto”, ha detto un pediatra.
“Li vediamo ogni giorno i danni dell’Ilva, nel nostro ospedale”, ha aggiunto in oncologo. E le donne a raccontare: “un amichetto di mio figlio ha il tumore al cervello a dieci anni. Fa le chemioterapie a dieci anni”.
Tutti volevano raccontare stamattina a Taranto. La manifestazione è la prima di una settimana da far impallidire i riti di quella santa. Martedì c’è la consulta che decide sul decreto Salva Ilva, che già per il fatto che si chiama così, a me vengono i brividi. Con un sit in di tarantini a Montecitorio organizzato da Peacelink.
Domenica prossima il referendum consultivo. In mezzo cronache e interviste, per non far calare l’attenzione.
Però io credo che l’attenzione non potrà calare. Questo ho sentito. Bastava vedere gli anziani, che trascinavano stanchi ma fieri i passi al corteo, i giovani allegri, i professori che avanzavano compatti, i negozianti con le locandine del corteo sulle vetrine.
C’è chi ha tenuto a sottolineare che mancavano gli operai. Che qualcuno era lì solo a titolo personale. Ma cosa si pretende? Che indossino le tute mettendosi a disposizione del dispotismo delle vendette di fabbrica o a rischio licenziamento?
Certo che mancano, la città sta provando a saltare con l’asta il baratro che la divide da chi ha disperatamente bisogno di quella fabbrica, e per loro la politica continua a far finta di non vedere soluzioni.
Quando le telecamere si spegneranno, quegli operai si ritroveranno a essere indicati, identificati, mobbizzati. Posso capire il loro terrore.
Ma Taranto oggi è scesa in piazza anche per loro.
Perchè è con la fame di lavoro che si crea la disperata voglia di alternative, e allora qualcosa potrà davvero cambiare.
Ah già.
Poi salgo sul treno verso casa, trovo un Corriere, leggo del toto Quirinale, delle polemiche su Franceschini che vuole il governo col Pdl, di una giornalista salita su un tetto per strappare una foto di Grillo, e mi viene da vomitare.
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Bandiera bianca. Quella che vorrei vedere sull’Ilva
Una macchia bianca in mezzo alla città. Bianco come il colore dei camici che i tarantini ammalati vedono tutti i giorni. Bianco come il colore della resa.
Ma è tutt’altro che una resa quella della città di Taranto che domani 7 Aprile, dalle 10.30, scenderà in piazza a manifestare. La bandiera bianca è quella che spero di veder sventolare sull’acciaieria Ilva.
In attesa della sentenza della Corte Costituzionale, prevista per martedì, e che potrebbe decretare la chiusura dell’impianto, definendo incostituzionale la legge Salva Ilva voluta dal ministro Clini, e dalla maggioranza del Parlamento, i tarantini scendono in piazza a sostegno della magistratura.
Invitati da Peacelink e dal Fondo Antidiossina che hanno organizzato il corteo, medici, infermieri, analisti, tutto il comparto sanitario insomma, ha aderito e parteciperà in camice bianco.
E poi, martedì 9 Aprile, tutti a Roma, in piazza Montecitorio, per un lungo sit in, dalle 9 alle 18 grazie anche a No War, dove gli ammalati e i tarantini che nel sangue hanno tutt’oggi piombo e altri metalli pesanti, segnali di un’esposizione che continua imperterrita, attenderanno l’esito della decisione della Consulta.
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Si fa presto a dire Pm10
Diretta streaming su Peacelink di un interessante incontro all’università di Giurisprudenza di Taranto sul decreto Salva-Ilva, la sua costituzionalità e la situazione della città. Presente anche Giorgio Assennato, direttore dell’Arpa pugliese.
Ho le cuffie, lo ascolto mentre sono al lavoro, come un sottofondo. Ascolto gli interventi, mi perdo ogni tanto qualcosa ma so che potrò recuperarlo nella registrazione, e intanto scrivo notizie nella pagina delle news di Metro. A un certo punto mi distraggo, sto cercando di capire cosa sta succedendo a Palazzo Chigi dove teoricamente dovrebbero decidere come assegnare i 20 miliardi che dovrebbero essere a disposizione delle imprese che vantano crediti con la pubblica amministrazione. Mi perdo dietro questi condizionali, e nelle dichiarazioni in politichese dei politici quando Luciano Manna mi richiama su Taranto con un messaggio. “Hai sentito?”. connetto orecchie e cervello: Assennato sta appena dicendo che l’aria di Taranto non è peggiore di quella di altre città d’Italia. Che le Pm10 sono allo stesso livello, che in Canada si respira la stessa aria.
La webcam inquadra la faccia perplessa e lo sguardo interrogativo di Alessandro Marescotti che scalpita per intervenire. Sul mio telefono leggo la rabbia di Fabio Matacchiera. Ci sentiamo: è giustamente furioso.
“Il tema non è quanta Pm10c’è a Taranto, o almeno non solo – mi dice Fabio Matacchiera – Il tema è cosa c’è nelle Pm 10. I metalli pesanti e le polveri inquinanti che abbiamo qui non ci sono altrove”.
Certo, è così. Certo, ma non è facile che chi sta ascoltando il direttore dell’Arpa abbia queste conoscenze, abbia questi strumenti per controbattergli. Fortunatamente Marescotti non gliele manda a dire, ed è preciso nella sua replica.
Ma quante volte, in quanti giornali, in quanti studi i televisivi, le parole di Assennato o chi per lui saranno state semplicemente riportare, senza analisi, senza dubbi, senza approfondimenti? quante volte la bugia sarà stata ripetuta, fino a diventare verità per qualcuno?
Per una marea di ragioni, ma anche per questo, sabato e domenica sarò a Taranto. E Toghe Verdi racconterà, giorno per giorno, il cammino verso il 9 aprile, quando la Corte Costituzionale dirà la sua sul decreto Clini Salva Ilva che secondo i magistrati Tarantini viola 17 articoli della Costituzione.
Ci vediamo 500 chilometri a Sud, tra una manciata di ore.
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Una data, un impegno. Per tutti
Tenetelo in agenda: sette aprile. Tutta Taranto è chiamata a partecipare alla grande manifestazione per far arrivare lontano, fino a Roma, la propria voce.
Ma non solo.
Tutta Italia è chiamata in causa, dal decreto cosiddetto Salva-Ilva. Perchè l’ingerenza a posteriori potrebbe colpire qualsiasi barricata dove ogni giorno comitati, residenti, cittadini, stanno lottando per affermare il diritto costituzionale alla salute.
E alla vita, aggiungo.
Tutti a Taranto, il sette aprile.
Perchè Taranto è casa nostra.
Intanto, aderite all’appello firmando qui
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Come se niente fosse
Secondo il Sole 24 Ore è quasi certo che l’Ilva impugnerà al Tribunale del Riesame l’atto del gip e d’altra parte l’azienda lo ha già contestato con una nota definendolo «illegittimo» e adottato quando ormai la Corte Costituzionale sta per pronunciarsi sulla legge 231 del 2012 (lo fará ad aprile).
«Inopportuna» viene poi definita dall’azienda la decisione di bloccare a tempo indeterminato le risorse della vendita anziché usarle per la bonifica ambientale e quindi «nell’interesse dei cittadini».
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Il diavolo, i super ricchi e Vendola naso di legno
«I super-ricchi devono andare al diavolo, Putin ha le sembianze del diavolo e dunque Depardieu è sulla direzione giusta». Che candido il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola.
Lui è quello che candida per Sel il portavoce della comunità senegalese a Firenze, un operaio, una femminista, e poi, certo, anche la stimata portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifiugiati.
E i super ricchi non gli vanno a genio. Che vadano al diavolo, dice.
Presidente Vendola, una domandina: i Riva non erano ricchi abbastanza da essere mandati al diavolo?
Lo so, è il post più breve della storia di Toghe Verdi, ma questa domandina ce l’avevo in gola, e non scendeva e non saliva, come un ovosodo.
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Fatemi capire: tutto sto casino per avere un decreto alla Berlusconi?
Un decreto per rendere l’Ilva un sito da proteggere, anche con le forze armate. Per poter continuare a produrre, a vendere, a far lavorare, a inquinare.
Neanche una parola per i malati di Taranto.
Neanche una parola per indagini che vedono compromessa l’integrità morale di chi quei malati e la cittadinanza tutta dovevano proteggere.
Neanche una riga nell’agenda politica.
Neanche una parentesi nel dibattito delle primarie.
Nè un’idea, nè una soluzione, nè una proposta.
L’unica, terribile, ipotesi: che Monti proponga a Napolitano un decreto per fare di Taranto quello che è stato fatto di Acerra qualche anno fa dal governo Berlusconi.
Un decreto per scavalcare un’ordinanza della magistratura. Per calpestare il diritto alla salute di una cittadinanza.
Presidente Napolitano, il diritto alla salute è tutelato dalla Costituzione. Dica di no a questo decreto criminale.
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L’unico gesto dignitoso: le dimissioni
In genere non penso che chi abbia un posto di responsabilità, e sbagli, debba per forza dimettersi. Sbagliare è umano, ed è ammesso anche a un ministro. Anzi, quando si sbaglia, è proprio il caso di rimanere al proprio posto, per poter rimediare.
Ma qui è diverso. Il ministro per l’ambiente Corrado Clini ha sbagliato a luglio, quando si è messo contro le decisioni della procura di Taranto, minimizzando il problema sanitario e ambientale, parlando solo di produzione e di posti di lavoro. Prevaricando, quindi, il proprio ambito di intervento e smascherando con decine di dichiarazioni, comunicati stampa, tweet, il suo vero interesse: non l’ambiente, ma l’industria.
Poi ha sbagliato a settembre, quando ha querelato il presidente dei Verdi Angelo Bonello “reo”, a suo avviso, di aver diffuso dati degni di un “procurato allarme”, non veritieri, mistificatori. E ancora nella sua Autorizzazione integrata ambientale rende lunghi i tempi della messa in sicurezza.
Abbiamo scoperto lunedì che quei dati erano errati, ma per difetto. La verità di Taranto è ancora più emergenziale, pericolosa, drammatica. Ce lo ha raccontato non una fonte anonima del web, ma il suo collega di governo, il ministro per la Salute Renato Balduzzi. E Clini cosa fa? Parla di prevenzione, monitoraggio della salute, ieri ha accusato la “catena alimentare” di essere la responsabile dei morti di Taranto. Uno, dei responsabili, insomma. Restano: le meteoriti, le scie chimiche, il volere divino.
Ministro, solo qualche domanda: chi ha sporcato per sempre la catena alimentare? Perchè c’è diossina nelle cozze, nel formaggio, nel latte, anche delle mamme di Taranto? Perchè sono stati macellati migliaia di capi di bestiame? Dove pascolavano quelle mucche?
Chi dovrebbe preoccuparsi dell’integrità dell’ambiente a Taranto, se non lei?
E lei, dov’era negli ultimi dieci anni? Ah, certo, rivestiva ruoli chiave al ministero dell’Ambiente. “Ma mi occupavo d’altro”, ci ha fatto sapere ieri.
Ci faccia un piacere, torni a occuparsene.
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L’Ilva inquina. La “scoperta” dei periti
Nelle lunghe chiacchierate con i tarantini mi ha sempre colpito la loro tenacia nella lotta e la loro capacità di restare lì, ad aspettare la giustizia, chiedendo attenzione nel resto d’Italia, attenzione che solo raramente, purtroppo, c’è stata.
Adesso la giustizia, anzi la Giustizia, con la lettera maiuscola, potrebbe essere in dirittura di arrivo.
Le emissioni di gas, vapori, polveri e diossina che ogni giorno, e ogni notte, vengono sputate fuori dai camini dell’Ilva crea pericoli per la salute dei suoi lavoratori e della gente. E gli animali abbattuti nei mesi scorsi perchè ammalatisi pascolando nell’area industriale di Taranto avevano quasi impresso il marchiò di quelle emissioni, e l’azienda non ha fatto tutto quello che le compete per evitare quei pericoli.
Lo hanno scritto, nero su bianco, i periti chimici nella prima parte della maxi perizia depositata alla segreteria del gip di Taranto Patrizia Todisco,
La perizia si inquadra nell’incidente probatorio dell’inchiesta aperta dal procuratore Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dal sostituto Mariano Buccoliero (a proposito di Toghe Verdi…) nella quale risultano indagati Emilio e Nicola Riva, il direttore Luigi Capogrosso, il capo area cokerie Ivan Di Maggio, il capo area Agglomerato Angelo Cavallo. Continua a leggere
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